Di questi antichi animali dalle setole folte e dalla cute nera, l’Area Grecanica oggi è piena, benché fino a pochi anni fa questa razza ha rischiato seriamente l’estinzione. Imponente e maestoso, il Suino Nero di Calabria è facilmente riconoscibile per via della somiglianza con i cinghiali.
Un po’ di storia
Al tempo della Magna Grecia, il suo allevamento a scopo alimentare era preferito a quello dei bovini, la cui carne si consumava soltanto dopo sacrifici religiosi. Apprezzati dai Romani, i maiali furono particolarmente diffusi anche durante la dominazione bizantina, periodo in cui si documenta una rigida tutela dei castagneti e dei querceti, finalizzata al loro allevamento. Fu la presenza di questi boschi durante tutta l’età Moderna a favorire il crescente numero di suini sull’Aspromonte. Dal catasto onciario di Bova del 1668 si deduce che i ceti abbienti erano possessori di numerosi capi di suini da destinare al pascolo brado. L’allevamento del suino nero si rilevava infatti più redditizio dell’agricoltura che invece necessitava di maggiori investimenti pur rimanendo soggetta alle perdite delle cattive annate. I suini invece garantivano i necessari quantitativi di lardo, indispensabili data la scarsa produzione di olio di queste terre, assicurando inoltre scorte di carne, da conservare sotto forma di insaccati e consumare durante l’inverno.
Le carni compatte del Suino Nero ben si prestano alla preparazione di prodotti di eccellenza, già decantati nel XVII secolo da Giovanni Fiore, nella sua celebre “Della Calabria Illustrata”. La più famosa testimonianza storica risale però al secolo successivo, quando Giacomo Casanova, in visita al vescovo Francescantonio Cavalcanti, riferì che i miglior salumi mangiati nella sua vita, provenivano dalla Calabria jonica meridionale. Tra questi il capicollo azze anca, dal 1998 tutelato dal marchio DOP. Ricavato dalla coscia disossata, dopo essere stato lasciato riposare viene salato, avvolto in strati sottili di grasso e infine cosparso di peperoncino, semi di finocchio selvatico e pepe nero.
Usanze
La macellazione del maiale rappresentava e rappresenta ancora oggi uno dei momenti salienti della tradizione gastronomica dell’Area Grecanica. Quasi tutte le famiglie allevano un maiale e ne consumano i prodotti nell’arco dell’anno. Si dice che tutte le persone che provano dispiacere all’uccisione del maiale devono allontanarsi dal luogo della macellazione perché impediscono all’animale di morire velocemente.
E’ questo un vero e proprio rituale, che coinvolge per una settimana anche più famiglie e termina la prima sera con la preparazione delle frittole, ottenute cuocendo la cotenna (private di setole e altre impurità), le costine ed altre parti meno nobili del maiale (parte del collo, della guancia, lingua, muso, orecchie, gamboni, pancia, rognoni…) mediante bollitura nel grasso dell’animale stesso. Il consumo di sangue, sotto forma di sanguinaccio aveva persino valenze magiche-rituali, riconducibili ad ancestrali tradizioni sacrificali, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
La sua carne
La carne del Suino nero calabrese, sia fresca che destinata alla trasformazione in salumi tipici e tradizionali, è un prodotto le cui qualità e caratteristiche, sono riconducibili alla combinazione di fattori genetici, ambientali, tradizionali e di particolari tecniche di allevamento. Fornisce tagli magri, mentre i prosciutti e le spalle sono di buona pezzatura. Contrariamente a quanto si era sempre ritenuto, le ricerche degli ultimi anni sulle carni del Suino Nero di Calabria, hanno dimostrato come l’elevato contenuto di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi della serie Omega-3 e Omega-6 svolgono un’azione preventiva su una serie di malattie degenerative, a cominciare da quelle cardiovascolari, rilevandosi utili per curare l’artrite e fondamentali per il buon funzionamento del sistema nervoso centrale. L’acido oleico rappresenta circa il 43% del grasso totale e si presenta ancora più concentrato nella carne del Suino Nero Calabrese, superando anche il 45% (fonte CRPA). Anche gli acidi grassi essenziali rappresentano una quota significativa con oltre il 20% del grasso totale ed con un ottimo rapporto tra ω3 ed ω6.
Ricca di vitamina D e vitamina E la carne del Suino Nero Calabrese, che oltre a conservare le ottime qualità della carne suina in generale, si arricchisce di queste preziose vitamine attraverso un’alimentazione sana e naturale, perché vive all’aperto, sotto il sole, a contatto con la terra. È, inoltre, ricca di ferro ad elevata biodisponibilità, di zinco, rame, fosforo, selenio e magnesio; è ricchissima di vitamina B1 (tiamina), vitamina B2 (riboflavina), vitamina PP (niacina). La carne suina è, pertanto, un concentrato di nutrienti benefici ed indispensabili per mantenersi in buona salute.
Il peso vivo ottimale al macello si aggira intorno ai due quintali. La carne dei soggetti migliori risulta particolarmente sapida, soda, compatta con buona colorazione del muscolo.
Il maiale nero, che cosa lo distingue dagli altri
Il maiale nero si distingue dalle altre razze suine per la sua indole rustica, che lo porta a non poter fare a meno della libertà allo stato brado, o al massimo semi-brado e ciò ovviamente è un prerequisito fondamentale dell’allevamento in agricoltura biologica. Per i contadini, soprattutto in passato, era una fortuna, poiché potevano svolgere altri lavori in campagna mentre i suini razzolavano liberi, senza doverli custodire o tener d’occhio. Questa propensione al pascolo e questa autonomia alimentare sono tra le cause di un maggior vigore sessuale del verro e di una prolificità notevole delle scrofe, che hanno un forte istinto materno: partoriscono due volte all’anno dai sette ai nove maiali, molto più piccoli se confrontati con gli altri. Di conseguenza i tempi di crescita si allungano, ma sono più in sintonia con le leggi naturali della crescita, tanto che possiamo affermare che il nero è più simile al cinghiale che ad altri maiali.
Dopo due anni, vengono macellati nei mesi da ottobre a maggio e il risultato è una carne di gran qualità e più magra, grazie alla presenza di un maggior numero di grassi insaturi rispetto a quelli saturi. Inoltre, l’isolamento geografico di questi territori, ha fatto che sì che non venisse a contatto con altre razze: in questo modo ha mantenuto inalterato il suo istinto primordiale e il suo patrimonio genetico. Oggi si trova in giro anche un nuovo incrocio tra il nero ungherese e un cinghiale locale, ma per riconoscere il Calabrese c’è ancora un altro indizio: la presenza dei bargigli, o margheri, ai lati del collo, ovvero di due protuberanze nella cotenna.
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