Lei è Demetra, non ha la classica fisionomia dell’albero monumentale, è alta poco più di sei metri e un diametro che cresce di nemmeno un millimetro l’anno, si trova a Reggio Calabria, all’interno del Parco Nazionale d’Aspromonte e possiede il primato di essere la quercia più longeva al mondo. Una ricerca dell’Università della Tuscia ha rilevato la longevità delle querce che crescono sulle montagne mediterranee del Sud Italia. Gianluca Piovesan, Jordan Palli e Michele Baliva hanno coordinato lo studio sui grandi alberi presenti all’interno del Parco reggino. Lo studio ha visto la sua pubblicazione sulla rivista Ecology (nella sezione Scientific Naturalist).
L’età estrema della quercia a cui è stato dato il nome Demetra in omaggio alla dea greca della natura e dell’agricoltura, rende l’albero in questione il più antico albero di latifoglie temperato datato al mondo. Si è andati quindi oltre l’età massima conosciuta di oltre 300 anni per le latifoglie analizzate sempre in Calabria (nel Parco Nazionale del Pollino). In quel caso si trattava di due faggi di 620 anni sopprannominati Norman e Michele.
Nello specifico la ricerca dell’Università della Tuscia ha usufruito del supporto dell’analisi al radiocarbonio su cinque grandi querce sessili presenti nell’area protetta dell’Aspromonte. Nell’analisi i ricercatori hanno rivelato una datazione variabile tra i 935 di Demetra ai 570 anni della pianta più giovane. Le querce prese in esame nel Parco d’Aspromonte si trovano su ripidi pendii rocciosi, spesso difficili da raggiungere, nello specifico nella cosiddetta Valle Infernale (vero paradiso naturalistico che conserva miracolosamente intatta la flora primigenia aspromontana); una condizione di isolamento che ne ha certamente favorito la sopravvivenza.
LO STUDIO
Il test è stato condotto a Lecce utilizzando l’AMS (Accelerator Mass Spectrometry) disponibile presso il CEDAD (Center for Applied Physics, Dating and Diagnostics) dell’Università del Salento e – come ha spiegato Gianluca Quarta, professore di Fisica Applicata presso lo stesso centro – “ha permesso di valutare l’età assoluta degli alberi con un alto grado di accuratezza mentre strumenti statistici avanzati per le analisi dei dati hanno contribuito a migliorare la risoluzione cronologica raggiunta”.
Lo studio dell’Università della Tuscia risulta particolarmente prezioso in quanto studi scientifici sulla determinazione precisa dell’età delle querce raramente sono stati condotti in Europa. “Studiare la longevità degli alberi in risposta ai cambiamenti climatici in ambienti diversi – ha affermato Gianluca Piovesan – è una priorità di ricerca sia per la conservazione della natura sia per le strategie di mitigazione del cambiamento climatico. Popolamenti antichi come quelli dell’Aspromonte – ha puntualizzato Isabel Dorado-Liñán, componente del team di ricerca – consentono infatti di ricostruire la storia ambientale dell’area, permettendo altresì di capire come le variazioni ambientali, in particolare il clima, hanno modellato la struttura e la funzione della foresta. Ed è proprio in questa direzione che proseguirà il nostro studio sulle querce del Parco d’Aspromonte”.
Acquisire dati per uno studio caratterizzato da così numerose implicazioni, non è stato per nulla semplice. “Prelevare i campioni per la datazione – hanno spiegato Jordan Palli e Michele Baliva del DendrologyLab dell’Università degli Studi della Tuscia – è stato particolarmente arduo per due ragioni: in primo luogo perché questi antichi alberi si trovano su ripidi pendii rocciosi di alta montagna, difficili da raggiungere e da percorrere. In secondo luogo, perché individui molto vecchi risultano spesso cavi nella parte interna del fusto a causa di secoli di esposizione alle intemperie, ad organismi nocivi e patogeni naturali, e ciò fa sì che gli anelli più antichi siano spesso mancanti o gravemente degradati, rendendo molto difficile l’identificazione e la raccolta degli anelli più vicini al midollo per la datazione con il metodo del radiocarbonio. Nel DendrologyLab – hanno aggiunto i due ricercatori – abbiamo quindi effettuato una meticolosa analisi allo stereoscopio per identificare gli anelli più vecchi nei nostri campioni, e date le loro dimensioni molto ridotte, abbiamo dovuto utilizzare un bisturi per prelevarli”.
Un dato interessante emerso dallo studio è la conferma della relazione inversa tra crescita e longevità, già notata in esemplari arborei particolarmente antichi. Infatti in Demetra è stata riscontrata una crescita anulare media estremamente ridotta (0,4 mm / anno) e la presenza del diametro più piccolo tra gli alberi campionati.
LA BIODIVERSITA’ IN CALABRIA
Demetra e le altre antiche querce del Parco d’Aspromonte vanno dunque ad occupare un posto di primo piano nella lista di alberi scientificamente datati più antichi d’Europa insieme al pino loricato Italus e ai due faggi sopra menzionati ubicati nel Parco Nazionale del Pollino. Una realtà che oltre a confermare la condizione della Calabria quale scrigno di biodiversità, esalta il ruolo dei suoi parchi naturali quali preziosi strumenti di conservazione della naturalità degli ecosistemi forestali dell’Appennino meridionale.
Ulteriori esempi di biodiversità nel basso reggino sono la presenza della rara felce preistorica Woodwardia Radicans dalle enormi fronde lunghe anche 3 metri, importante relitto di flora tropicale del Terziario, tipica rappresentante di una flora tropical-montana risalente a circa 70 milioni di anni fa e il Ginepro Fenicio (Juniperus Phoenicea L. subsp. Turbinata (Guss.) Nyman), pianta a crescita molto lenta e piuttosto longeva, che è stata recentemente recuperata tramite un progetto di AIAB Calabria, risalente anch’essa ad epoche antichissime (esiste una pianta di poco meno di 600 anni di età). Il tutto dovrebbe essere da monito per quelle mani criminali che mettono a repentaglio il futuro ambientale e lo sviluppo della nostra terra appiccando incendi tesi a distruggere questo patrimonio inestimabile, piaga che ormai da decenni si abbatte sulla Calabria.
”Proprio per tali motivi – aggiunge, concludendo, Piovesan – in un recente lavoro con Alessandro Chiarucci dell’Università di Bologna pubblicato su Conservation Biology abbiamo sottolineato la necessità di mappare tutti gli ecosistemi forestali di elevata naturalità nei diversi biomi del mondo al fine di proteggerli e così raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile”.