Tra i maggiori problemi di cui il mondo scientifico si occupa oggi ci sono quelli della biodiversità, dei cambiamenti climatici, della povertà e della fame nel mondo. Questi problemi sono tra loro collegati anche se spesso vengono affrontati separatamente. É ormai inequivocabile che il clima si sta riscaldando ed è molto probabile che in molti settori geografici la frequenza e l’intensità degli anni siccitosi, nonché la variabilità del clima continueranno ad aumentare. Alcuni degli effetti più profondi e diretti del cambiamento climatico nei prossimi decenni si registreranno sui sistemi alimentari e agricoli moderni, che, a causa della grande uniformità che li caratterizza, mal si prestano a fronteggiarne l’impatto. Infatti, nonostante le più autorevoli riviste scientifiche ci ricordino a scadenze quasi settimanali quanto la biodiversità sia essenziale per la vita su questo pianeta, la biodiversità in generale e la agro-biodiversità in particolare continuano a diminuire.
La riduzione della biodiversità
Tale riduzione è stata in larga misura causata dall’agricoltura industriale che è basata su poche varietà, spesso imparentate tra di loro e che rispondono in modo uniforme a fertilizzanti, erbicidi e pesticidi – si stima che vi siano 250 mila specie vegetali, di cui circa 50.000 sono commestibili: in realtà noi ne mangiamo solo 250 di cui 15 forniscono il 90% delle calorie nella dieta umana e solo tre – riso, mais e grano il 60%. Queste tre colture sono quelle in cui il miglioramento genetico convenzionale ha drasticamente ridotto la diversità genetica. Oltre alla diminuzione della biodiversità nelle nostre colture principali, vi è stata una progressiva concentrazione del controllo delle sementi nelle mani di poche grandi aziende: a partire dal 2008, dieci società controllano il 67% del mercato globale delle sementi, e quattro di loro ne controllano il 49%. Le stesse quattro hanno una quota del 53% del mercato dei pesticidi.
Il modello di sviluppo agricolo che ha portato a questa diminuzione di biodiversità e quindi di sicurezza alimentare, segue la filosofia della rivoluzione verde, un termine coniato nel 1986 per indicare una strategia di sviluppo agricolo basata sull’uso congiunto di varietà migliorate, fertilizzanti, anticrittogamici, diserbanti, irrigazione e meccanizzazione. In questo modo si eliminavano o si attenuavano le differenze tra ambienti agronomici anche molto diversi e molto distanti tra loro e una o poche varietà riuscivano a produrre bene dovunque. Gli agricoltori poveri che non potevano permettersi fertilizzanti, anticrittogamici, diserbanti, irrigazione e meccanizzazione, non hanno tratto alcun beneficio da questa strategia (Baranski 2015). Queste varietà inoltre non hanno le qualità organolettiche delle varietà locali (Migliorini et al. 2016) per cui spesso accade, come ancora oggi si verifica sulle rive del mar Caspio, che gli agricoltori coltivino le varietà moderne il cui seme vendono sul mercato, e le varietà locali per il loro consumo casalingo.
Con la crescente privatizzazione dei programmi di miglioramento genetico delle piante, c’è stata non solo una preoccupante diminuzione della diversità genetica nelle nostre colture, ma anche delle conoscenze che gli agricoltori avevano accumulato nel corso millenni trascorsi a modificarle, a diffonderle in giro per il mondo, adattandole a nuovi climi, suoli, pratiche colturali e usi. Molti organismi internazionali, riconoscendo il valore della biodiversità agricola per il futuro dell’umanità, hanno promosso e stanno promuovendo la conservazione delle varietà locali e relativi progenitori selvatici nelle banche del germoplasma. Queste banche sono essenziali come ultima spiaggia dove recuperare il seme in caso di calamità naturali: ma il loro effetto è non solo congelare i semi ma anche congelare l’evoluzione.
Il miglioramento genetico partecipativo
Un programma di miglioramento genetico partecipativo è definito come un programma di miglioramento genetico in cui la selezione è condotta nell’ambiente di destinazione con la partecipazione degli utenti. Il miglioramento genetico partecipativo (PPB dall’inglese Participatory Plant Breeding) è considerato come una forma di miglioramento genetico in grado di aumentare la produzione alimentare e, quindi, di alimenti a livello aziendale senza diminuire, in realtà aumentando la agro-biodiversità (Ceccarelli et al. 2000; Halewood et al. 2007; Ceccarelli et al 2009). Questo perché sfrutta i vantaggi della selezione diretta, cioè della selezione nell’ambiente di destinazione (inclusi i sistemi biologici e a bassi input) in combinazione con la partecipazione degli agricoltori (uomini e donne) in tutte le decisioni chiave.
Questo metodo di miglioramento genetico mette gli agricoltori al centro di tutto il processo di sviluppo di nuove varietà compresa la produzione di sementi e ciò corrisponde a una delle principali raccomandazioni della relazione internazionale del relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo “Mettere gli agricoltori al centro delle ricerche attraverso programmi di ricerca partecipativa quali il miglioramento genetico partecipativo” (De Schutter 2014). La differenza principale tra miglioramento genetico convenzionale e miglioramento genetico partecipativo è che il primo è un processo dove le priorità, gli obiettivi e le metodologie sono decisi da uno o più ricercatori senza la partecipazione degli agricoltori, mentre il secondo dà pari peso ai pareri degli agricoltori e dei ricercatori.
Fasi operative
Per l’attuazione di un programma di PPB vale la pena di ricordare che non ci sono modelli fissi. Per la stessa coltura e anche all’interno dello stesso paese, possono essere necessari diversi modelli in funzione della struttura genetica delle varietà che si vogliono ottenere (linee pure o popolazioni), e dell’uso della coltura (mercato o consumo diretto). Un modello particolarmente utile in colture ad autoimpollinazione (come frumento, riso, orzo, teff, lenticchie, ceci, un certo numero di alberi da frutta) presuppone che i ricercatori generino diversità genetica (per lo più facendo incroci, spesso utilizzando varietà locali), allevino le prime due generazioni nelle stazioni di ricerca per produrre abbastanza seme per le prove nei campi degli agricoltori. Una volta che il materiale è coltivato nei campi, i ricercatori misurano caratteristiche ritenute importanti dagli agricoltori (ad esempio altezza delle piante, lunghezza delle spighe, dimensioni della granella), e procedono all’analisi dei dati così ricavati ed alla loro conservazione. Gli agricoltori valutano il materiale, a volte sono loro a misurare le caratteristiche delle piante, decidono cosa scegliere e cosa scartare, danno un nome alle varietà che selezionano, e producono e distribuiscono il seme delle varietà adottate. Il processo nei campi degli agricoltori si svolge attraverso quattro fasi: le prove iniziali (fase 1), prove avanzate (fase 2), prove d’élite (fase 3) e prove su larga scala (fase 4). A seconda della coltura e del paese la fase 1 comprende tra le 50 e 160 varietà.
Quando vi è una grande diversità nella coltura, e quando i contadini in villaggi diversi, hanno diverse preferenze, le prove iniziali seminate in diversi villaggi includono varietà diverse. Il numero totale delle varietà saggiate nelle prove iniziali nello stesso paese può quindi essere molto grande, e in qualche caso raggiunge le 400 varietà diverse testate ogni anno in diversi villaggi. Le fasi 2, 3 e 4 includono le varietà selezionate dallo stadio 1, 2 e 3 dell’anno precedente, rispettivamente. Il processo di selezione comprende una selezione visuale (tradotta in un punteggio quantitativo) fatta dagli agricoltori (sia uomini che donne) prima della raccolta ed una seconda selezione sulla base dei risultati dell’analisi statistica. Infatti, i dati di tutte le prove sono analizzati con metodi statistici rigorosi e quindi generano la stessa quantità e qualità di informazione delle prove condotte dalla sperimentazione convenzionale.
Una parte fondamentale di questo modello è che, una volta che un ciclo è completato, le linee selezionate al termine del ciclo vengono utilizzate come genitori in un nuovo ciclo di ricombinazione e selezione, esattamente come nel miglioramento genetico convenzionale (Ceccarelli, 2016). La differenza è che le linee sono state selezionate dagli agricoltori e possono variare da un luogo all’altro. Questo aspetto ciclico ha effetti importanti sugli agricoltori che vedono valorizzate e apprezzate le proprie scelte e crea un forte senso di proprietà dell’intero processo. Inoltre ha anche considerevoli effetti non solo sulla diversità spaziale, a causa della selezione di diverse varietà in luoghi differenti, ma anche sulla diversità temporale dato il rapido turnover delle varietà.
Il miglioramento genetico evolutivo
Il miglioramento genetico partecipativo è usato o lo è stato in 47 paesi diversi in tutti e 5 i continenti con 26 colture diverse comprendenti 13 cereali, 6 leguminose, 3 piante da radice o tubero, 2 orticole e 2 colture industriali. Una delle debolezze del modello di programma di miglioramento genetico partecipativo è che presuppone la presenza di una Istituzione di ricerca che alimenti di continuo il programma con nuovi materiali genetici e che fornisca il supporto tecnico per una corretta esecuzione delle prove di campo. Tuttavia, l’atteggiamento dei ricercatori e delle Istituzioni nei confronti del miglioramento genetico partecipativo è generalmente negativo, imprevedibile e mutevole. Per questo motivo, e anche stimolati dalla necessità di sviluppare una strategia efficace e poco costosa per adattare le colture ai cambiamenti climatici, abbiamo introdotto il concetto di miglioramento genetico evolutivo che si basa su popolazioni con grande variabilità genetica, compresi miscugli di varietà locali, che possono essere gestite da agricoltori direttamente in una moltitudine di ambienti dove lentamente si evolvono e si adattano (Ceccarelli, 2015).
È come mettere a disposizione degli agricoltori una banca del germoplasma vivente e in evoluzione. Uno dei principali vantaggi del miglioramento evolutivo è la sua semplicità e il suo potenziale enorme di adattare le colture (qualsiasi coltura) ai cambiamenti climatici e a qualunque altro cambiamento agronomico che possa essere necessario introdurre in futuro. Programmi di miglioramento genetico evolutivo sono attualmente in corso con frumento e orzo in Iran e Giordania, con orzo in Etiopia, con frumento duro, frumento tenero e orzo in Italia dove queste popolazioni sono coltivate in 12 regioni.
Fonte: Il Giardino delle esperidi. Salvatore Ceccarelli, AIAB Calabria, 2015.
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